La storia del Marabu'

Alla fine degli anni ’70 il ciclone rappresentato dal fenomeno delle discoteche fu preceduto dalla “lieve brezza” rappresentata dal fenomeno “Travolta”. Da quel momento fu chiaro a sempre più persone che una piccola grande rivoluzione era già in atto.
L’abitudine di passare le serate davanti al televisore o al cinema doveva, da li a poco, cambiare drasticamente. Nel giro di pochi mesi le discoteche si riempirono a dismisura di ragazzi alla ricerca di chissà quale paradiso terrestre; non solo giovanissimi, ma anche venti-trentenni, si impossessarono, alla stregua degli “sbarbini”, dei templi della discomusic. E’in questo particolare contesto che il 21 ottobre 1977 inaugurava la sua prima stagione il Marabù. Tanti di noi ci sono cresciuti, tanti si sentivano “come a casa”. Io c’ero, ero fra quelli che avevano l’espressione rapita e forse ebete a vedersi, ma quel che conta è stare bene, no?
Ma vediamo da vicino questo gigante buono, raccontiamolo a chi non l’ha vissuto. Aveva un vasto parcheggio in cui potevano trovare posto fino a 1.500 auto, il suo aspetto architettonico, venuto alla luce nello studio dell’ingegner Silvestro Lolli, moderno e funzionale realizzato dalla I.R.Coop in 2 anni circa di lavoro, era caratterizzato da un tunnel d’accesso in cemento, punto focale dell’intera struttura, accessibile da 4 parti diversi. Questo tunnel immetteva direttamente all’interno del locale e da qui si aveva istantaneamente una panoramica completa. Due le piste da ballo, la più grande delle quali, di circa 300 metri quadri, un palco per qualsiasi tipo di spettacolo e 3 bar, uno per ogni soppalco. Le strutture vennero realizzate in acciaio vetro e cemento. Vennero approntate le maggiori garanzie di efficienza e sicurezza: sedute e moquette erano state realizzate con materiali totalmente ignifughi; i servizi, efficienti e sicuri, presentavano moderne attrezzature, ampi spazi, acqua corrente continua e depurata. All’impianto di ventilazione e riscaldamento venne dedicata particolare attenzione con il montaggio di 150 prese di mandate e uscite per garantire a 3000 persone oltre 40 metri cubi di aria pro capite. In pratica si garantiva un soggiorno piacevole con aria fresca d’estate e calda d’inverno. Le uscite di sicurezza, 8 più l’ingresso, garantivano la sicurezza per tutti i ragazzi presenti e la tranquillità di tutti i genitori, anche in caso di afflusso eccezionale. L’impianto elettrico era all’avanguardia con una propria centrale e ben 5 quadri di comando, il complesso era dotato di 3000 punti-luce alimentati da 400 linee. Una citazione particolare merita l’acustica del locale, grazie alla cui perfezione furono possibili registrazioni dal vivo con risultati ottimali. Per realizzare questa imponente struttura furono necessarie circa 150.000 ore di lavoro, fornite da oltre 40 differenti ditte, il 90% delle quali reggiane. All’interno del Marabù era come sognare in technicolor: il colore era vero, effettivo, luminosamente caldo. Si rifletteva negli acciai dell’alta soffittatura, prendeva innumerevoli sfumature dai cristalli, nasceva da sorgenti che lo facevano scaturire in mille riflessi come una cascata lucente e sempre cangiante ma che non turbava l’intimità anche quando gli ospiti erano a migliaia, ma anzi la favoriva, la esaltava. Finiva per essere un caldo messaggio tinto di tutte le tonalità dell’iride nel quale ognuno, ogni coppia, durante la danza, o durante una sosta su un soffice divano, ritrovava un pezzetto del proprio mondo. Ciò che saltava agli occhi era il connubio tra eleganza alla portata di chiunque, la possibilità di ascoltare buona musica e vedere buoni spettacoli ma ad un prezzo accessibile a tutti.
Il Marabù ha avuto un notevole ricambio di personale. Per quanto riguarda i dj, dopo un certo numero di anni, questa era la politica dei dirigenti, si sentiva l’esigenza di cambiare la coppia di turno alla consolle anche se erano adorati dal pubblico e quasi idolatrati dalle ragazze e forse, proprio per questo, ogni tanto era necessario un cambiamento, per permettere loro di costruirsi una carriera altrove senza fossilizzarsi nel proprio ruolo e al pubblico di affezionarsi a nuovi personaggi.
Le coppie storiche che hanno lavorato al Marabù sono oramai arcinote ma ricordiamole ugualmente: la prima coppia in realtà era un trio: Enzo Persueder, Marco Campagnoli e Gigi Pattacini; Bonvi (Fabrizio Bonvicini) e Lucio Vannelli. Ma se ne devono ricordare molti altri Stefano Puviani, Daniele Davoli, Stefano Gambarelli. Come non citare Benny Benassi allora solo Marco Benassi che tanto successo ha ottenuto oltre oceano, i suoi esordi, da ragazzino, sono stati proprio al Marabù. Il trio Persueder- Campagnoli- Pattacini subentrò alla prima coppia di dj che inaugurò il Marabù, si trattava di Jimmy (un ragazzone di colore) e Nadia. Questa coppia rimase alla consolle del Marabù solo qualche mese. Furono sostituiti, già prima di Natale, da Enzo Persueder e da tutta la sua equipe formata appunto da Campagnoli, Pattacini e da un tecnico luci di nome Adriano Più.
Il Marabù aveva una sezione luci molto complessa che richiedeva molta competenza nonchè conoscenza di tutto l’impianto, Adriano Più venne presto sostituito da Irish al secolo Maurizio Andretta che divenne il lightj storico del Marabù rimanendo al lavoro quasi quanto il Marabù stesso.
Per quanto riguarda la gestione dei tre bar interni le cose furono diverse. Molti i barman e le cassiere che rimasero per un bel numero di anni: sia gli Aibes ovvero quelli con la “patente” per servire cocktail e miscelati sia quelli senza attestati ma sorretti da una grandissima passione e sempre pronti a dare il massimo. E’ una lista lunga quella dei dipendenti del Marabù che nella sua stagione migliore è arrivata fino a 67 elementi.
Questo mitico locale che negli anni ’80 e ’90 ha accolto e fatto divertire tanti giovani reggiani, ha chiuso definitivamente i battenti nel dicembre del 2000. Oramai vuoto e dimenticato è ora solo un relitto triste e abbandonato, niente a che vedere con la splendida struttura dei suoi anni migliori quando il Marabù era un’oasi di divertimento incontrastata, una luce accecante che brillava nella notte della via Emilia e attirava a sé, come fossero falene impazzite, orde di giovani ansiosi di far parte di quella atmosfera magica, quasi irreale. Guardo le foto di ciò che rimane adesso, vecchi muri umidi e ammuffiti circondati da erbacce e rifiuti.
Certo è stata un’avventura magnifica, bellissima, ma quanto impegno, quanti pensieri, quale e quanta dedizione da parte di chi ci ha lavorato per renderlo il tempio perfetto del divertimento che è stato per tanti anni e per tanti di noi.
Sandra Borghi